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Intervista a Ezio Risatti

Quando abbiamo cercato chi potesse raccontare da vicino la vita e l’impegno di Mario Viglietti, un nome è subito emerso: Ezio Risatti. Salesiano, psicologo, psicoterapeuta e docente — nonché fondatore e, fino al 2020, preside dell’Istituto Universitario Salesiano Torino (IUSTO) — Risatti porta con sé decenni di esperienza nella formazione e nell’accompagnamento dei giovani.

Grazie alla sua stretta vicinanza con Viglietti, conosce da vicino il contesto in cui ha operato e la sua azione concreta. Parlare con lui significa andare oltre la semplice cronologia dei fatti: significa accedere a una memoria viva, fatta di incontri, relazioni e momenti che raccontano chi fosse realmente Viglietti.

In questa intervista, Risatti ci guida attraverso il passato, restituendo non solo le azioni e le idee di Viglietti, ma anche i valori, la sensibilità e l’atmosfera di un’epoca. Le sue parole ci permettono di scoprire il lato umano e pedagogico di chi ha lasciato un segno importante nella vita di molti.

Come è quando ha conosciuto il professor Viglietti?

La prima conoscenza è stata quando sono entrato come ragazzo dai Salesiani e lui mi ha fatto tutti i test di personalità, di intelligenza, attitudinali per vedere se ero adatto a fare il Salesiano, come, che cosa e così via. Quello è stato più d’impatto, però naturalmente io ero da un'altra parte. Concretamente l'ho conosciuto quando sono venuto qui al Rebaudengo, nell'82.

Io ero con i giovani che volevano diventare Salesiani, comunità proposta. Lui era il direttore del centro di psicologia e so che faceva un mucchio di cose belle. C'erano i corsi per orientatori, qui allora riconosciuti dal Ministero del Lavoro, e quindi svolgeva tutta l'attività di psicologia in maniera molto efficiente.

Avete collaborato insieme in quei progetti o attività?

No, quando sono arrivato qui io facevo altre cose, poi sono passato in radio, poi sono passato alla psicologia. Allora lì abbiamo cominciato a collaborare, cos'era l'88 quando sono passato alla psicologia. Lui mi ha dato carta bianca, mi ha detto quello che vuoi fare fallo.

Allora io mi sono iscritto all'università di psicologia, mi sono laureato in psicologia, mi sono iscritto all'ordine di psicologi, abilitato nella psicoterapia e intanto lavoravo come psicologo assieme a lui. Lui portava sempre avanti l'orientamento e io portavo avanti di più la psicologia clinica e la formazione perché insegnavo ai giovani preti alla crocetta, insegnavo in tanti altri posti.

Che tipo di rapporto avevate?

Era un rapporto molto sereno, perché lui faceva il suo lavoro e io facevo il mio, però eravamo collegati, l'economia era assieme, quindi c'era questa totale fiducia nell'altro.

Lui mi dava totale fiducia e io davo totale fiducia a lui, quindi andavamo avanti bene.

Ricorda il primo incontro, la prima impressione che aveva di lui quando lo incontrò?

Allora, il primo incontro proprio come psicologo, io ero ancora chierico e volevo discutere con lui appunto, con uno psicologo, lo ricordo una persona molto tranquilla, molto serena, molto positiva e mi ha aiutato in quel primo incontro. Era la prima volta che parlavo con uno psicologo e mi sono trovato bene.

Quali erano le sue principali competenze di insegnamento?

Viglietti era un uomo che aveva tante competenze, ad esempio in campo dell'informatica lui ha cominciato a scrivere i programmi quando ancora non c'erano, si era fatto arrivare un computer dagli Stati Uniti, perché i nostri erano piccolini, a quei tempi avevano solo 64k di memoria, lui aveva già uno più potente, era già a colori, era già eccetera, mentre noi avevamo ancora gli schermi bianco e nero e così via. Lui si era fatto tutti i programmi della statistica per la ricerca che faceva, quindi si li era fatti lui perché a quel tempo i programmi non li trovavi e funzionavano bene. Poi aveva una capacità nell'orientamento molto interessante, perché lui ha affrontato più di 10.000 casi nella sua vita, non so quanti ne abbia fatti, so che a un certo punto parlava di 10.000 ma poi è ancora andato avanti, quindi non so a quanti sia arrivato.

Percepire i ragazzi e le ragazze che arrivavano da lui per che cose erano fatti, che cosa conveniva che facessero, era una cosa interessante sicuramente nella sua capacità. Poi era capace di dare serenità, perché era un uomo sereno, una persona serena, quindi pacifica, portava pace in tutto dove andava.

Come descriverebbe il suo metodo didattico?

Il metodo didattico io non sono mai stato a lezione da lui, però avevamo un'aula dove adesso c'è la biblioteca che era all'avanguardia nel campo della didattica, perché aveva tutta la possibilità delle tendine, aveva una ventina di tendine, che si può dire rigide e non stoffa, dove potevi appendere diverse cose precedenti e quindi poi potevi tirarle fuori per mostrarle.

A quell'epoca le diapositive erano una cosa rara, difficile, per cui non si potevano usare, si usavano dei cartelloni, allora l'uomo poteva prepararsi fino a una ventina e li poteva usare per le lezioni, aveva l'abitudine di registrare le lezioni. Nel campo della didattica ha sempre avuto molta attenzione e molto interesse, per cui la sua scuola funzionava anche bene.

Quali erano i suoi interessi di ricerca prevalentemente?

La ricerca fondamentale era quella sull'orientamento, il metodo ADDP che è introdotto in Italia e poi abbiamo scoperto che altre realtà lo portavano avanti e lui era molto esperto, ha scritto un bel volume su questo argomento, anzi due volumi su questo argomento e quindi una presentazione.

C'è da dire che era diversa la situazione sociale, per cui una volta i ragazzi potevano orientarsi, nel senso di dire allora io cosa voglio fare da grande. Adesso i ragazzi hanno davanti una nebbia, non sanno che cosa faranno da grandi, anche perché veramente non si sa la società come gira e quindi non è più quella sensazione di chiarezza che c'era una volta. L'orientamento per lui non era solo che cosa farai da grande, ma tu che persona sei chiamato a diventare, quindi era una formazione alla vita più che alla professione o agli studi, essere una persona realizzata nella propria vita, quello era il suo metodo ADDP, far sì che le persone crescessero nella loro vita.

Ricorda qualche intervento particolarmente significativo di Don Biglietti nell'ambito sempre accademico?

Beh esattamente, lui andava anche in qualche università in giro a fare lezioni e così via, in quel senso si pensa a un periodo episodico, andava in giro a fare lezioni e così via, soprattutto formazioni docenti faceva. Nell'università dove presentavano i corsi che non c'erano ancora nell'aula in psicologia, quindi era soprattutto pedagogia e indirizzo psicologico quello che facevano, e lui presentava proprio il campo di psicologia e indirizzo psicologico, di pedagogia e indirizzo psicologico, e quindi mi ricordo che andava anche in Sicilia, ricordo che andava in tanti posti. Lui ha fondato il centro qui del Rebaudengo, che è partito nel 1958, e da questo centro ne sono derivati altri 29 in Italia, per cui è un metodo che si è diffuso, molti salesiani e figli di Maria Ausiliatrice hanno seguito questo metodo.

Poi è cambiata la realtà, per cui oggi giorno non c'è più quel bisogno lì come dicevo prima, ma in quel momento era molto importante e soprattutto introdurre la psicologia nei nostri ambienti, perché anche i ragazzi che venivano, prima dicevo dove l'ho conosciuto, io sono arrivato a una certa età, ero già più grande degli altri, ma anche quelli che erano in età regolare, tutti passavano attraverso test, dove si valutavano sia le capacità sia la persona, che non ci fossero problemi di personalità. Oggigiorno questo mi pare che manchi un poco.

Come si rapportava con gli studenti?

Io ho visto come gli ex allievi lo cercavano, quindi direi che si rapportava bene, perché appunto io sono stato suo studente, ma sicuramente da come lo cercavano, vuol dire che avevano avuto un buon rapporto con lui, una buona esperienza, e quindi erano contenti di essere stati i suoi allievi.

Seguiva anche percorsi individuali degli studenti, tesi, orientamento?

Sì, perché il corso che c'era qui terminò con una tesi. Chi ha fatto la scuola qui di psicologia, i tre anni che c'erano, poi è stato riconosciuto come psicologo e psicoterapeuta quando è nato l'Ordine, perché è nato nel 1989 l'Ordine.

E allora chi è che è psicologo? Chi ha fatto certe scuole era psicologo e psicoterapeuta riconosciuto, quindi è chiaro che aveva una buona formazione.

Quali erano i suoi principali tratti caratteriali?

Dunque, lui sui caratteriali non faceva più di tanto. Mi viene in mente il nome, quello lo faceva.

Lui faceva soprattutto orientamento, quindi rileva le caratteristiche, ma lo diceva lui stesso in una maniera più superficiale, perché era in funzione dell'orientamento, però le direzioni erano giuste, perché si era confrontato con altri psicologi salesiani dell'UPS che invece approfondivano gli aspetti proprio di personalità, di patologie e così via. E lui era molto contento perché aveva visto che il suo metodo, i test erano suoi, i test erano MD Mario Viglietti, poi erano l'anno dopo, aveva visto che non erano così approfonditi come gli altri, ma erano molto più facili, molto più elementari, molto più brevi e ti dicevano qual era l'orientamento fondamentale. Insomma, se uno era schizofrenico si vedeva, non con quella precisione o esattamente quello e questo, però si vedeva che se uno era paranoico si vedeva e avanti.

Ha qualche aneddoto significativo su Don Viglietti che ci possa mostrare la sua personalità?

A un certo punto non ci stavamo più negli ambienti che avevamo, lui ha sempre gestito degli ambienti perché il centro di psicologia era autonomo rispetto alla casa e a un certo punto non ci stavamo più e abbiamo chiesto degli ambienti che erano disponibili, era disponibile questo piano dove siamo noi adesso e quindi si trattava di trasferirsi qui. Lui aveva l'ufficio vicino all'ingresso, aveva una sala d'attesa, aveva un laboratorio e un ufficio suo, poi aveva ancora un secondo piano con tutto il magazzino, con tutto il suo materiale, quindi era ben organizzato e mi ha stupito con che disponibilità ha lasciato quei locali per trasferirsi anche lui qua, perché magari a una certa età uno voglia dire stare dove è, e così via, invece ha detto no dai andiamo, quindi ha preso l'ufficio qua e si è trasferito in un ufficio, questo qui di fianco e ha proprio traslocato tutto e questo mi è piaciuto di come era aperto al futuro nonostante avesse più di 80 anni quando l'ha fatto.

Quali valori voleva trasmettere ai suoi studenti?

Il valore che trasmetteva era il valore della vita, la vita è una cosa preziosa, la vita è un grande capitale che hai in mano, utilizzalo bene, spendilo bene, fallo rendere, questo era il suo orientamento, non era solo dire tu devi fare una scuola tecnica, tu devi fare una scuola classica, no era molto più profondo, la tua vita è un investimento, investila bene e ci guadagni.

Come coniugava il rigore accademico con l'approccio salesiano?

Il rigore accademico basta vedere i suoi libri e uno si rende conto che c'era il rigore accademico, lui tra l'altro insegnava statistica e la statistica è matematica, bisogna conoscere bene le formule, aveva fatto lui programmi di informatica con queste formule quindi le conosceva bene e così via, quindi c'era questo rigore. E poi la salesianità era il modo con cui si rapportava con le persone, un modo positivo, incoraggiante, di sostegno, di aiuto e quindi questo permetteva loro di fare strada.

Aveva un particolare attenzione verso certi temi sociali o culturali che gli stavano particolarmente a cuore?

Dunque, i temi culturali sì, erano proprio l'approfondimento dello studio della persona, quindi la psicologia non vicino alla medicina, ma vicino alla pedagogia, vicino alla filosofia.

C'era un altro psicologo qui a Viglietti, Giacomo Lorenzini, che era più vicino alla medicina, invece lui era più vicino alla filosofia e alla pedagogia, la psicologia come supporto alla persona, quindi la persona che si gestisce meglio e quindi sta meglio.

Come vedeva il ruolo del Centro per l'Orientamento nel contesto torinese-salesiano?

Lavorava in tante scuole, direi che quelle salesiane erano una briciola rispetto a tutto il lavoro. Io ricordo quando c'era ancora lui eravamo arrivati a fare 54 progetti nelle scuole in un anno, quindi voleva dire proprio darsi da fare, dove si faceva orientamento ma si faceva anche formazione ai ragazzi, ai giovani delle scuole.

Prendevamo la media e le superiori, normalmente nelle elementari non andavamo. Medie superiori con prevalenza superiori, invece a livello universitario poi ci siamo messi, abbiamo messo su l'università, sì.

Quale ruolo ha avuto nella fondazione di IUSTO?

Lui innanzitutto aveva già cercato il modo di farlo prima, ma era prima che ci fosse la riforma universitaria del 2004 e quindi non si poteva, bisognava fare qualcosa di impossibile.

Passata la riforma del 2004 abbiamo deciso di provare di nuovo e lui ha messo a disposizione i locali e lui ha messo a disposizione l'economia, perché da quando dici facciamo un'università a quando entra la prima retta di un allievo che si iscrive passano anni, sono anni in cui devi lavorare con tutta un'equipe e con che vivi?, con che paghi tutta l'equipe? Noi avevamo delle altre attività, quindi gli psicologi che venivano qui si pagavano anche facendo altri lavori, però c'era anche questo dell'università da portare avanti, lui era molto positivo, lo vedeva molto bene e quindi l'ha sostenuto sempre sia psicologicamente che economicamente.

Aveva incarichi specifici oltre all'insegnamento qua a IUSTO?

No, a IUSTO non ha mai insegnato, abbiamo dei limiti di età e lui era già fuori quei limiti, attualmente anch'io sono fuori quindi non insegno più a IUSTO, insegno altrove dove non ci sono questi limiti.

Ad esempio arrivo adesso da una scuola di attori, insegnare psicologia a quelli che vogliono diventare attori è molto importante perché devono conoscerla.

Nel suo ambito disciplinare quale approccio metodologico adottava?

Il metodo ADVP, diciamo che come psicologia, come metodo di intervento, questo poteva essere riportato a Rogersiano, il tipo di psicologia era molto basato sulla persona, quindi il riconoscimento della persona, rispetto ai metodi di allora, Freudiano, Adleriano, Juliano, era più un metodo umanistico, un metodo di questo genere.

Quale eredità intellettuale e umana ha lasciato?

Ha lasciato, questa è l'eredità sua, tutta l'università, perché ha lasciato la ricerca, ha lasciato la produzione, ha lasciato il lavoro con i giovani, ha lasciato tutta una serie di elementi che si sono tradotti in università.

Una volta gli studenti universitari erano già adulti, quando un ragazzo tornava dal servizio militare era nel mondo adulto, aveva 21 anni, non era più un giovane. Oggigiorno si arriva fino a 35 anni e considera di giovani, i tempi di maturazione psicologica sono cambiati molto, i tempi di maturazione fisica si sono anticipati e i tempi di maturazione psicologica si sono posticipati e allora sono cambiate diverse cose, comunque lui c'era sicuramente.

Secondo lei è ancora presente la sua eredità oggi a IUSTO?

Direi di sì, si vede, si tocca, perché tutto uno stile salesiano viene da lui, uno stile di tipo di famiglia, di tipo di collaborazione, lui aveva molti collaboratori, portava avanti la sua scuola con i collaboratori e così via, quindi non un sistema che io comando e vi pago e voi siete dipendenti e fate, no, assieme facciamo questo e quindi assieme lavoriamo.

C'è qualcosa che non le ho chiesto ma che le tiene importante per comprendere la figura di Don Viglietti?

La percezione del futuro che aveva, ad esempio quello del volere l'università, era la percezione proprio che i giovani non finivano più a 18-20 anni ma andavano oltre e quindi anche tutto l'aspetto scolastico non poteva più, i salesiani fermarsi lì, ma dovevano aprirsi anche al campo universitario, di fatto adesso abbiamo 5 università in Italia perché c'è questa realtà nuova, bisogna aprirsi e questo vuol dire che quella del Veneto è nata da persone che erano nate dalla psicologia del Rebaudengo e quindi significativo.

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